Michael Tsegaye Layers of movement III
2017
Fotografia digitale (Platinum Baryta 300 paper)
Misure: 50 x 50 cm
L’opera è esposta nella Galleria Mizar in occasione della mostra “Territori intrecciati.Al di là del mare“.
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Tutte le opere di Michael Tsegaye esposte appartengono alla serie Layers of movement.
Michael Tsegaye (26 aprile 1975 Addis Abeba, Etiopia). Classe ’75, etiope di nascita e di cultura, si laurea all’Accademia di Belle Arte di Addis Abeba nel 2002, corso di Pittura ed esordisce come pittore. Ben presto dovrà abbandonare il cavalletto e deporre i pennelli a causa di una grave allergia a qualche componente dei colori ad olio. Fortunato incidente che gli farà scoprire la sua vera vena artistica ed esprimersi attraverso la fotografia.
“Come fotografo cerco di evitare ogni etichetta e di collocarmi accanto ai mie pari, fotografi e pittori. I miei scatti si nutrono dell’essenza della mia cultura, di tradizioni, musica e letteratura della mia gente. I miei obiettivi sono quelli di ogni artista: dare un senso alla mia vita, esprimermi attraverso l’arte e trovare un nuovo punto di vista nel panorama artistico del 21esimo secolo”.
Senza ombra di dubbio, Michael Tsegaye è riuscito nel suo intento, collocandosi all’interno di rassegne internazionali d’arte, esponendo in gallerie delle principali capitali d’arte come New York, Parigi, Berlino, Madrid, Miami, Bamako e facendo parlare di sé in dettagliati articoli sul Guardian e sul New TYork Times. Vince anche il primo premio dell’“European Union – African Union photography competition” del 2011 come rappresentante dell’Africa orientale. Accanto all’abilità tecnica, Tsegaye aggiunge un plus valore alla sua produzione: vuole riflettere sulle sue origini e sulla sua terra ponendo l’accento sulle cocenti tematiche e problematiche sociali e sulle possibili risoluzioni. Motivo per il quale è stato chiamato questa estate (dal 22 giugno) ad esporre dal Maxxi, accanto ad altri artisti africani contemporanei, all’inetrno del grande progetto sperimentale “Road to Justice”.
Di famiglia ortodossa e di formazione cristiana (scuole dell’obbligo) e fortemente influenzato dalla letteratura e dalla poesia amarica, Tsegaye infonde nei suoi reportage un profondo senso di spiritualità che non si esaurisce solo in una riflessione sulla o sulle religioni, ma nel senso stesso dell’Etiopia e di come la percepisce e la vive.
Infatti ritrae paesaggi rurali ed urbani di Abbis Abeba in preda ad una febbrile edilizia senza precedenti. La capitale si è trasformata in un immenso cantiere a cielo aperto in cui spuntano grattacieli, grandi uffici e ristoranti fiancheggiati da grandi baraccopoli o capanne improvvisate da gente che pochi giorni prima aveva una casa, buttata giù dalle ruspe. Dove è finita quella città di montagna dell’Altopiano abissino con palazzi d’imperiale memoria, con casette di stile italiano costruiti nella breve parentesi coloniale fascista, con palazzotti del regime sovietico socialista e enormi quartieri popolari, un grande ammasso di casupole di fango, paglia, rami ed alluminio?
Tsegaye fotografa non la povertà, ma l’impatto che hanno questi forti sconvolgimenti urbanistici sulla vita di ogni giorno, concentrandosi su “ciò che sta per svanire, per conoscerlo”: rintraccia i movimenti e le migrazioni di intere comunità di Addis Abeba, osserva quegli smantellamenti dei grandi quartieri popolari e li registra come una sorta di patrimonio o memoria collettiva, che altrimenti andrebbe persa.
“Fotografare per me è come prendere per mano qualcuno, accompagnarlo nella mia terra e mostrare quello ho sperimentato sulla mia pelle: musica, libri, riflessioni, paesaggi, esperienze, in una parola, la vita”.