Dalí sotto l’effetto di un delirio mistico
Aveva sempre fatto parlare di sé, per l’inconfondibile stile, gli eccessi, le provocazioni, l’irrefrenabile creatività, la mondanità e le stravaganze. Il genio assoluto che dichiarava “Il surrealismo sono Io” e suscitava l’invidia dei suoi compagni surrealisti che lo chiamavano “Avida Dollars” anagrammando il suo nome, declinò il suo estro in ogni ambito: arreda appartamenti, allestisce vetrine dei grandi magazzini, collabora a riviste come Vogue, Harper’s Bazaar, crea balletti, progetta le scene, partecipa a film.
Ma al top del suo successo, “Art News” stuzzica malignamente l’opinione pubblica e l’idea che ci si era fatti di Salvador Dalí: “Non è impossibile che d’ora in avanti Dalí dedichi una maggiore attenzione al conscio piuttosto che all’inconscio. Se le cose stessero effettivamente così, non gli mancherebbe allora più niente per diventare il massimo pittore accademico del ventunesimo secolo”.
A tale provocazione, il catalano risponde a tono: “Le cose più sovversive che possono capitare a un ex surrealista sono due: primo, diventare mistico; secondo, saper disegnare. Queste due forme di vigore a me sono appena capitate insieme e contemporaneamente. La Catalogna conta tre grandi geni, e precisamente Raymond de Sebonde, autore della “Teologia naturale”, Gaudí, creatore del gotico mediterraneo, e Salvador Dalí, inventore della nuova mistica paranoico-critica e salvatore, come indica il suo nome, della pittura moderna. La crisi intensa del misticismo daliniano si fonda basicamente sul progresso delle scienze proprie della nostra epoca, specialmente sulla spiritualità metafisica della sostanzialità della fisica dei quanta, e, su un piano di simulacri meno sostanziali, sugli esiti più ignominosamente supergelatinosi e sui loro coefficienti di viscosità monarchica della morfologia generale tutta intera…”
Cosa ha spinto il cantore dell’inconscio verso la via del misticismo?
Tra il 1949 e il 1950 Dalí inizia un tormentato cammino di riscoperta del cattolicesimo. E non c’è da meravigliarsi se molti la consideravano l’ultima trovata provocatoria di un anticlericale, un narcisista e un istrione sempre pronto ad attuare comportamenti esibizionisti a volte difficili da sopportare.
Ma in una famosa conferenza l’artista afferma “Credo in Dio, ma non ho la fede. La scienza e la matematica mi dicono che Dio deve esistere, ma io non ci credo”. Al di là dell’immancabile gusto per il paradosso, qualcosa aveva scosso l’animo di Dalí. Era rimasto “abbagliato” dall’esplosione atomica del 6 agosto 1945, che “mi aveva sismicamente fatto vacillare. Ormai l’atomo era il mio argomento di riflessione preferito. Molti paesaggi dipinti durante questo periodo esprimono la grande paura da me provata all’annuncio di questa esplosione; applicai il mio metodo paranoico-critico all’esplosione di questo mondo. Voglio vedere e capire la forza e le leggi nascoste delle cose per poterle controllare, evidentemente. Ho l’intuizione geniale di disporre di un’arma straordinaria per penetrare nel nocciolo della realtà: il misticismo, cioè l’intuizione profonda di ciò che è, la comunicazione immediata con il tutto, la visione assoluta mediante la grazia della verità, mediante la grazia divina. Più potente dei ciclotroni e dei calcolatori cibernetici, posso in un istante penetrare i segreti del reale. A me l’estasi! L’estasi di Dio e dell’uomo. A me la perfezione, la bellezza, che io possa guardarla negli occhi. Morte all’accademismo, alle formule burocratiche dell’arte, al plagio decorativo, alle aberrazioni demenziali dell’arte africana. A me, santa Teresa d’Avila!… Fu in questo stato d’intenso profetismo che compresi come i mezzi d’espressione pittorici siano stati inventati una volta per tutte con il massimo di perfezione e d’efficacia all’epoca del rinascimento e come la decadenza della pittura moderna derivi dallo scetticismo e dalla mancanza di fede, conseguenze del materialismo meccanicista. Io, Dalí, ritualizzando il misticismo spagnolo, dimostrerò con la mia opera l’unità dell’universo rivelando la spiritualità di ogni sostanza”.
Di sicuro doveva anche aver giocato un ruolo rilevante il fatto che la Chiesa Cattolica nel 1951 riconobbe ufficialmente la validità della teoria del Big Bang: vale a dire l’origine dell’universo come un’esplosione di materia infinitamente densa. Nello stesso anno infatti Dalí pubblica il famoso Manifesto Mistico, in cui espone le sue idee sulla nuova pittura sacra. Da allora Dalí si interessò alle teorie della fisica nucleare, quantistica, della relatività, che sostituirono in parte le precedenti fonti di ispirazione provenienti dalla psicoanalisi. Invece dal punto di vista artistico, il suo fine è quello di ritessere il legame con la grande tradizione dell’arte antica e rinascimentale.
Attratto da queste nuove suggestioni, in una sorta di dichiarazione d’intenti, Dalí si ritrae “nudo in contemplazione davanti a cinque corpi regolari metamorfizzati in corpuscoli, nei quali appare improvvisamente la Leda di Leonardo cromosomatizzata dal viso di Gala” (1954).
La nuova pittura sacra
Il Cristo di san Giovanni della Croce è una personalissima risposta daliniana al tema della crocifissione, in contrapposizione formale e concettuale con la tradizionale iconografia: il Cristo non ha il volto sofferente, né piaghe sulle mani o ferite sul costato o corona di spine, ma è robusto e bello come in un “sogno cosmico” in una prospettiva ardita sul paesaggio marino di Port Lligat.
A questo periodo risalgono anche i 104 acquerelli eseguiti nel 1951 che illustrano la Divina Commedia di Dante commissionatagli dal Governo italiano in occasione dei 700 anni dalla nascita del Sommo poeta. Una decina di anni più tardi creerà la meravigliosa “Biblia Sacra” (1967-69), una raccolta di 105 litografie pubblicate da Rizzoli-Mediolani commissionata da un suo stretto amico e forte credente, Giuseppe Albaretto, nella speranza di avvicinare l’artista catalano alla religione cattolica.
Questi Vangeli e altre opere di intensa bellezza e spiritualità sono visibili nella galleria Wallector. Esplorate con noi “il rapporto tra l’uomo d’oggi e il perenne senso di Dio” secondo l’occhio e la sensibilità di Dalí che non si stancava mai di dire che “in quest’epoca di decadenza dell’arte religiosa (…) è più auspicabile sollecitare geni non credenti che credenti sprovvisti di genio”.